La solitudine

 
La nostra solitudine di genitori
 
Sono la madre di un ragazzo molto giovane, omosessuale.
Sono stata da giovane una contestatrice, ho vissuto in pieno il ’68 e fortunatamente, pur se in mezzo a tante contraddizioni, nelle sue forme più positive e belle, di ricerca della libertà, della giustizia sociale, dell’apertura e allo stesso momento della vicinanza all’altro, della solidarietà.
Ecco, questi valori, molto forti dentro di me, credo di averli appresi prima in famiglia e poi di averli potuti sperimentare da giovane nell’impegno sociale e nella politica.
Già a quei tempi avevo amici omosessuali e per la verità, a ripensarci oggi, la loro omosessualità non è mai divenuta oggetto di un confronto, neanche di una confidenza, loro erano così e basta. Sembrava che “la cosa” non ponesse alcun problema, anche se più tardi, proprio attraverso il mio migliore amico dell’adolescenza, ho potuto intuire che la sua realtà di omosessuale era assai dolorosa e travagliata.
Quando sono venuta a sapere dell’ omosessualità di mio figlio ho provato un colpo, sordo, al cuore; poi, a poco a poco, mi sono imposta di far prevalere la ragione e mi sono appigliata ai principi di apertura e di tolleranza, insomma a tutto quello che avevo sempre condiviso sull’omosessualità come forma di diversità.
La mia prima risposta ascoltando i racconti di mio figlio è stata quella di proporgli di andare al cinema insieme, perché proprio in quei giorni c’era una rassegna del cinema gay; mi è sembrata,
allora, una forma di condivisione e di amore nei suoi confronti.
Non mi rendevo ancora conto di non conoscere questa problematica così complessa. Oggi, alla luce dei tanti fatti che sono successi e che continuano a succedere, sento che è necessario impegnarsi a comprendere, insieme naturalmente, a continuare ad amare, forse anche più di prima.
E per cercar di comprendere con amore, non posso non osservare e registrare i fatti.
Ho visto mio figlio, nel momento in cui ha deciso di vivere da gay, cambiare radicalmente vita.
Nel giro di poche settimane ha lasciato lo sport che praticava e che gli piaceva; ha lasciato gli scout che, mio marito e io crediamo abbiano rappresentato, seppur con momenti di crisi - peraltro normali tra gli adolescenti - la sua esperienza più importante di crescita al di fuori della famiglia.
Ha iniziato a rifiutarsi di collaborare a risolvere qualche problema tecnico che si presentava in casa, al computer, o, che so, alla presa elettrica; ha cominciato a dire che “non sapeva fare”, che non gli interessava, quando sempre in passato aveva dato prova di essere molto capace: al computer cercava, sperimentava, inventava e, quando io, in difficoltà, gli chiedevo aiuto, lui sapeva subito come intervenire e risolvere.
Improvvisamente non voleva più, non sapeva….salvo, quando, come accade ancor oggi, si dimentica della sua identità gay e, preso da qualcosa che lo appassiona veramente, accetta di farti un’operazione e allora torna ad essere attivo, veloce e a usare la sue competenze.
Abbiamo potuto toccare, sentendoci impotenti, un secco arresto del suo sviluppo. A nulla sono valsi i solleciti, le proposte che venivano anche da altri amici. Via la scuola, da cui era riuscito ad ottenere ogni volta risultati soddisfacenti, dove stava sviluppando anche i suoi molti interessi; e via la musica, via il teatro, via il cinema che seguiva con continuità e passione, via anche la cucina, il disegno, con cui sapeva ben fare.
Il rapporto con questi aspetti della vita si è rotto. Ma soprattutto si è rotto il rapporto con le persone che facevano parte del suo mondo, rapporto a cui, nonostante i suoi timori, teneva. Allora non ha più frequentato amici maschi, le sue amicizie sono diventate tutte femminili, i maschi ora li trova nei locali, nelle discoteche. Al momento il corpo pare sia al centro dei suoi interessi, lo guarda e riguarda allo specchio, lo liscia, lo colora, lo trasforma…
E dal padre, con cui ha sempre faticato a porsi in relazione, anche se con la coda dell’occhio ne ha sempre scrutato la risposta, mio figlio, dopo il suo dichiararsi gay, si è ulteriormente allontanato; e tuttora, nel rivolgersi a lui, è come se ci fosse ogni volta una vena di provocazione o di aggressività, molto al di là della ribellione o del  desiderio di affermarsi di un adolescente.
Ma mio marito continua a cercarlo, gli racconta di sé e di loro due, gli fa proposte e mi sembra che nostro figlio sia anche disposto, a volte, a misurarsi con lui, in fondo ho il sospetto che si fidi di lui. Questo mi dà la speranza che un giorno smetta di fuggire e riprenda a crescere.
 
In mezzo a molti eventi dolorosi non abbiamo sentito la vicinanza e l’amicizia delle persone da cui eravamo sicuri di poter essere capiti. Devo riconoscere che nel nostro ambiente progressista la risposta è stata il silenzio; per disinteressamento da parte di alcuni, per altri, forse, per difficoltà personali ad affrontare questo tipo di problematiche. Comunque non c’è stata condivisione.  Quando in alcuni casi ho provato a farlo presente, le persone con cui parlavamo, pur senza sapere nulla o quasi dei processi veri e devastanti in atto nella vita di nostro figlio, ci hanno semplicemente invitato ad accettare la sua scelta, lasciando anche trapelare giudizi di merito, simili ai messaggi che leggiamo nei media. In quasi nessun caso ho avvertito il desiderio o la disponibilità a conoscere e ad ascoltare la voce di chi vive in prima persona la sofferenza.
Mio figlio ora vive in un ambiente marginale estremo. Pochi delle mie amiche e dei miei amici, che pure lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, mi chiedono notizie di lui.