La fabbrica dei transgender, triptorelina e la banalità del male

All’indirizzo  http://lanuovabq.it/it/vi-spiego-come-funziona-la-fabbrica-dei-transgender troverete  l’esperienza di un padre con il figlio transgender fatta all’ospedale Niguarda di Milano.
Purtroppo è tutto vero e – peggio – è tutto “normale”, in regola con le norme e i protocolli medici. AGAPO lo spiega nell’articolo La fabbrica dei transgender e la banalità del male.

 

La banalità del male: inevitabilmente vengono in mente le famose parole di Hannah Arendt con cui sintetizza le logiche intrinseche dei totalitarismi moderni, siano essi basati sulla razza, sulla “classe” o sul genere.   

I mass media, le accademie in Occidente, le istituzioni deputate alla salute, l’OMS, gli ospedali, l’intero  sistema sanitario, dall’anno scorso in via ufficiale, da anni già nella pratica, non considerano più la disforia di genere una patologia. Infatti, oggi è diventato “normale” dare seguito al proprio desiderio di appartenere all’altro sesso, nonostante ciò implichi la demolizione di parti di un corpo sano attraverso interventi chimici e/o chirurgici. Di conseguenza, non viene considerato normale colui che, pur condividendo lo stesso desiderio di appartenere all’altro sesso, rinuncia invece all’intervento di transizione di genere. Prevale il primo istinto dell’uomo e di ogni essere animato, quello cioè di preservare la propria integrità fisica. Si constata quindi che accade proprio ciò che ha riscontrato il padre citato nell’articolo sopraindicato: il sistema è tutto volto a “incoraggiare” la persona verso la transizione di genere piuttosto che invitarlo verso un approccio psicoterapeutico che lo aiuti a vivere in armonia e amare il proprio corpo. Interessante è annotare che nell’80% dei casi di disforia di genere clinicamente conclamati, la persona ripensa la scelta e rinuncia alla trasformazione fisica. È proprio nello stato di dubbio oggi ad entrare in scena la triptorelina, intervenendo con gli ormoni già in età prepuberale, bloccando cioè il naturale sviluppo di crescita del giovane. Come ha ben spiegato il padre di cui sopra, l’obiettivo di queste transizioni appare chiaro: più si è giovani e più “riesce” la trasformazione, un maschio somiglierà più a una femmina e viceversa.

La prassi disumana che il padre del figlio transgender ha riscontrato all’ospedale Niguarda di Milano non è una eccezione, è purtroppo la regola. Essa è basata sull’assioma secondo il quale l’uomo nasce neutro, cioè “libero da stereotipi di genere”. Un modo di pensare penetrato nel tessuto culturale in modo pervasivo, con le parole buone dell’accoglienza e senza alcun approfondimento critico, tale da diventare “normale”.  

Tutto ciò non sorprende più di tanto, per quanto Hannah Arendt ci ha permesso di apprendere sulla banalità del male. Resta tuttavia sorprendente il fatto che tra coloro non in grado di riconoscere la manipolazione antropologica e il male che da esso deriva, ci siano anche intellettuali cattolici.