Testimonianze

Domande di un padre alla società

“L’omosessualità è una variante naturale e sana della sessualità umana che promette la stessa felicità di vita come la variante eterosessuale, se non ci fosse l’ostilità sociale dell’ambiente circostante.” Oppure: “Gli omosessuali nascono così e vivono in coppie come gli eterosessuali”.  Frasi come queste le ho sentite e lette tante volte, sui media e anche da persone reali, amici, conoscenti, colleghi, familiari. 
Mia moglie e io abbiamo sempre vissuto in un ambiente progressista in cui il comune credo era ed è proprio questo. Ma è davvero così? Noi genitori possiamo stare tranquilli? Basta accettare la scelta del figlio, difenderlo dall’omofobia della società e non ci saranno problemi particolari?
Eppure i genitori che conosciamo, anche quelli progressisti e addirittura politicamente impegnati,  quando apprendono che il figlio è omosessuale, restano quasi tutti terrificati.
Questa reazione è soltanto un segno di chiusura mentale e di pregiudizio? Di egoismo genitoriale che non accetta di rinunciare ai suoi sogni egoisticamente proiettati sul figlio, pensiero su cui un mio amico gay e psicologo ha invitato mia moglie e me a riflettere? Queste sono le domande che noi genitori ci  poniamo.
 Oggi sui media c’è una fortissima presenza di coppie e matrimoni gay. Il mondo gay realmente esistente che ho incontrato – e altri padri pure hanno fatto la stessa esperienza - è invece un “network ricreativo”, consistente di Cruising bar, “saune”, Dark room e quant’altro, sono luoghi rigorosamente promiscui e in buona parte convenzionati con ARCI Gay.
Sono uguali ad analoghi locali del mondo eterosessuale come gli swinger club (posti dove si pratica lo scambio di coppie), sostengono gli attivisti di ARCI Gay. E’ davvero così?
Ho appreso (v. anche: http://www.tgcom.mediaset.it/cronaca/articoli/articolo292755.shtml ) che all'inizio del 2006, a Mignanego, nell'entroterra genovese è stato aperto uno "swinger club" per eterosessuali per cui il gestore inizialmente aveva ottenuto l'affiliazione ARCI. A distanza di due giorni dall'apertura del locale, a seguito di un blitz dei carabinieri, che aveva portato alla denuncia di 32 persone (per atti osceni) il circolo veniva chiuso. Come si legge nell'articolo, comunque,  il locale verrà riaperto, seppure costretto a rinunciare all'insegna ARCI (che pare abbia deciso di ritirare l'affiliazione). Perché, mi domando, questo ritrattare dell'ARCI? 
Perché l'ARCI non considera altrettanto negativi i sex club per omosessuali, ove le pratiche sessuali sono (più che) paragonabili a quelli di un locale per scambisti etero?
Gli omosessuali sono una razza diversa?
A chi opera questo tipo di discriminazione tra etereo e omosessuale posso solo dire: i nostri figli omosessuali sono umani come gli altri e meritano le stesse tutele.
I nostri figli sono sensibili come tutti e non capisco perché questo tipo di sesso anonimo, spersonalizzato e disumano a loro debba fare meno male che agli altri. Perché la società e i media dicono ai giovani omosessuali che i Cruising bar, le saune, i dark room sono normali e “ricreativi”e riserva a questi locali addirittura trattamenti fiscali privilegiati?
I Sex club per solo uomini sono un fenomeno marginale nella cultura e nel mondo gay realmente esistente?
A credere i mass media questi locali addirittura non esistono, non compaiono mai. E’ soltanto il “razzismo omofobo” (termine usato da ARCI Gay e da qualche politico) che usa il fenomeno per screditare i gay? La risposta la dà ARCI Gay stessa: sul suo sito (www.arcigay.it) sono registrati più di sessanta di questi locali in Italia e gli aventi diritto all’accesso a questi club privé sono150.000, ossia tutti i tesserati ARCI Gay, capofila del relativo consorzio.
In compenso ARCI Gay, specialmente in questo periodo, a livello di comunicazione di massa e a livello politico, promuove i Pacs e i matrimoni gay, in quanto sposarsi, avere una relazione di amore stabile ed esclusiva, renderla pubblica sarebbe una’aspirazione prioritaria dei gay.
Ma è davvero così?
In molti Comuni dell’Italia centrale alcuni anni fa sono stati istituiti i Registri delle coppie di fatto che hanno dato questa possibilità ai gay, i Registri però sono rimasti sostanzialmente vuoti.
Ad esempio nel Comune di Perugia con 158.000 abitanti, risulta registrata una sola coppia gay! L’amore omosessuale è davvero uguale a quello eterosessuale, gli omosessuali vivono in coppie come gli eterosessuali
Durante il 2006 l’ARCI Gay ha protestato contro l’esclusione degli omosessuali dalle donazioni di sangue negli ospedali italiani (a causa del maggiore rischio AIDS tra i gay). Effettivamente da alcuni anni su buona parte della stampa non compaiono più articoli che precisino il rischio specifico dei gay e l’impressione che i giovani devono avere è che il rischio AIDS non li riguarda più. Ma è davvero così?
Dal rapporto annuale sulle malattie infettive 2006 si evince che il numero dei casi di nuove infezioni AIDS di chi pratica omosex è pressoché uguale a quello egli eterosessuali. Ammesso e non concesso che il numero dei gay in Italia ammonti al 5% della popolazione (dato sostenuto dal mondo gay), il rischio di contrarre il virus risulta pertanto 20 volte superiore a quello degli eterosessuali. Ammessa una popolazione gay del 2% della popolazione totale (come altre fonti sostengono) il rischio è 50 volte superiore.
L’omosex promette la stessa felicità dell’amore eterosessuale?
I nostri figli e noi genitori non dovremmo porci questa domanda?
E i fatti sopra menzionati non dovrebbero interessare, o meglio non li dovremmo conoscere? Sembra proprio così, visto che per esempio il Corriere della Sera nei suoi report sull’AIDS degli ultimi anni, sempre lunghi di una intera pagina, non menziona neanche una volta gli omosessuali e i rischi specifici connessi.
Noi genitori, siamo razzisti omofobi quando poniamo queste domande? Dovremmo, come buoni cittadini, attenerci a quello che ci dice la società, la tv, i grandi giornali?
Noi genitori amiamo i nostri figli, anche con la loro debolezza. Questa società mediatica fa altrettanto? O li sa accettare soltanto negando e rimuovendo i loro problemi, moltiplicandone gli effetti negativi?
  

La solitudine

 
La nostra solitudine di genitori
 
Sono la madre di un ragazzo molto giovane, omosessuale.
Sono stata da giovane una contestatrice, ho vissuto in pieno il ’68 e fortunatamente, pur se in mezzo a tante contraddizioni, nelle sue forme più positive e belle, di ricerca della libertà, della giustizia sociale, dell’apertura e allo stesso momento della vicinanza all’altro, della solidarietà.
Ecco, questi valori, molto forti dentro di me, credo di averli appresi prima in famiglia e poi di averli potuti sperimentare da giovane nell’impegno sociale e nella politica.
Già a quei tempi avevo amici omosessuali e per la verità, a ripensarci oggi, la loro omosessualità non è mai divenuta oggetto di un confronto, neanche di una confidenza, loro erano così e basta. Sembrava che “la cosa” non ponesse alcun problema, anche se più tardi, proprio attraverso il mio migliore amico dell’adolescenza, ho potuto intuire che la sua realtà di omosessuale era assai dolorosa e travagliata.
Quando sono venuta a sapere dell’ omosessualità di mio figlio ho provato un colpo, sordo, al cuore; poi, a poco a poco, mi sono imposta di far prevalere la ragione e mi sono appigliata ai principi di apertura e di tolleranza, insomma a tutto quello che avevo sempre condiviso sull’omosessualità come forma di diversità.
La mia prima risposta ascoltando i racconti di mio figlio è stata quella di proporgli di andare al cinema insieme, perché proprio in quei giorni c’era una rassegna del cinema gay; mi è sembrata,
allora, una forma di condivisione e di amore nei suoi confronti.
Non mi rendevo ancora conto di non conoscere questa problematica così complessa. Oggi, alla luce dei tanti fatti che sono successi e che continuano a succedere, sento che è necessario impegnarsi a comprendere, insieme naturalmente, a continuare ad amare, forse anche più di prima.
E per cercar di comprendere con amore, non posso non osservare e registrare i fatti.
Ho visto mio figlio, nel momento in cui ha deciso di vivere da gay, cambiare radicalmente vita.
Nel giro di poche settimane ha lasciato lo sport che praticava e che gli piaceva; ha lasciato gli scout che, mio marito e io crediamo abbiano rappresentato, seppur con momenti di crisi - peraltro normali tra gli adolescenti - la sua esperienza più importante di crescita al di fuori della famiglia.
Ha iniziato a rifiutarsi di collaborare a risolvere qualche problema tecnico che si presentava in casa, al computer, o, che so, alla presa elettrica; ha cominciato a dire che “non sapeva fare”, che non gli interessava, quando sempre in passato aveva dato prova di essere molto capace: al computer cercava, sperimentava, inventava e, quando io, in difficoltà, gli chiedevo aiuto, lui sapeva subito come intervenire e risolvere.
Improvvisamente non voleva più, non sapeva….salvo, quando, come accade ancor oggi, si dimentica della sua identità gay e, preso da qualcosa che lo appassiona veramente, accetta di farti un’operazione e allora torna ad essere attivo, veloce e a usare la sue competenze.
Abbiamo potuto toccare, sentendoci impotenti, un secco arresto del suo sviluppo. A nulla sono valsi i solleciti, le proposte che venivano anche da altri amici. Via la scuola, da cui era riuscito ad ottenere ogni volta risultati soddisfacenti, dove stava sviluppando anche i suoi molti interessi; e via la musica, via il teatro, via il cinema che seguiva con continuità e passione, via anche la cucina, il disegno, con cui sapeva ben fare.
Il rapporto con questi aspetti della vita si è rotto. Ma soprattutto si è rotto il rapporto con le persone che facevano parte del suo mondo, rapporto a cui, nonostante i suoi timori, teneva. Allora non ha più frequentato amici maschi, le sue amicizie sono diventate tutte femminili, i maschi ora li trova nei locali, nelle discoteche. Al momento il corpo pare sia al centro dei suoi interessi, lo guarda e riguarda allo specchio, lo liscia, lo colora, lo trasforma…
E dal padre, con cui ha sempre faticato a porsi in relazione, anche se con la coda dell’occhio ne ha sempre scrutato la risposta, mio figlio, dopo il suo dichiararsi gay, si è ulteriormente allontanato; e tuttora, nel rivolgersi a lui, è come se ci fosse ogni volta una vena di provocazione o di aggressività, molto al di là della ribellione o del  desiderio di affermarsi di un adolescente.
Ma mio marito continua a cercarlo, gli racconta di sé e di loro due, gli fa proposte e mi sembra che nostro figlio sia anche disposto, a volte, a misurarsi con lui, in fondo ho il sospetto che si fidi di lui. Questo mi dà la speranza che un giorno smetta di fuggire e riprenda a crescere.
 
In mezzo a molti eventi dolorosi non abbiamo sentito la vicinanza e l’amicizia delle persone da cui eravamo sicuri di poter essere capiti. Devo riconoscere che nel nostro ambiente progressista la risposta è stata il silenzio; per disinteressamento da parte di alcuni, per altri, forse, per difficoltà personali ad affrontare questo tipo di problematiche. Comunque non c’è stata condivisione.  Quando in alcuni casi ho provato a farlo presente, le persone con cui parlavamo, pur senza sapere nulla o quasi dei processi veri e devastanti in atto nella vita di nostro figlio, ci hanno semplicemente invitato ad accettare la sua scelta, lasciando anche trapelare giudizi di merito, simili ai messaggi che leggiamo nei media. In quasi nessun caso ho avvertito il desiderio o la disponibilità a conoscere e ad ascoltare la voce di chi vive in prima persona la sofferenza.
Mio figlio ora vive in un ambiente marginale estremo. Pochi delle mie amiche e dei miei amici, che pure lo hanno conosciuto e gli hanno voluto bene, mi chiedono notizie di lui.   
 
 

Uno strappo improvviso

 
Uno strappo improvviso

Ti capita di svegliarti  un giorno e di scoprire che tuo figlio ha cambiato “faccia”.

Lui che è sempre restato vicino a te, che ti ha sempre confidato e raccontato tutto, che ti ha sempre fatto partecipe delle sue scelte, delle sue paure e delle sue insicurezze, che ti ha sempre chiesto aiuto nei momenti di difficoltà....

Tu che  hai sempre parlato con lui, che gli hai sempre dato consigli, che hai discusso con lui di tutte le situazioni, che lo hai sempre ascoltato e che molto spesso hai fatto tesoro dei suoi consigli e delle sue esperienze....

Tutto filava alla perfezione:

  • Amicizie stabili
  • Ottimi risultati a scuola
  • Determinazione
  • Congratulazioni da parte di tutti i conoscenti

Poi improvvisamente tutto cambia....

  • Nervosismo, chiusura in se stesso
  • Voglia di andarsene da casa perchè è talmente opprimente da non permettergli di potersi esprimere e divertire 
  • Abbandono degli studi 
  • Ricerca di amici diversi 
  • Paura di avere un fisico inaccettabile e malato tale da non consentirgli di potersi realizzare.

Lo vedi  ridotto a un burattino senza iniziative e che desidera ciò che   gli suggeriscono gli “altri” e non ciò che nasce dentro la sua fantasia e la sua immaginazione.      

Non è più in grado di  interrogarsi sui suoi desideri autentici e quale sia il ruolo da svolgere nella sua vita.

Non è più in grado di esprimere quel sorriso radioso di cui era portatore.

E arriva il giorno in cui ci prega di permettergli di andarsene da casa per poter essere più sereno e non più sottoposto ai nostri “controlli” che limitano la sua libertà.

Col nostro aiuto esce di casa per tre volte con la conseguenza di  depressione ed ipocondria in forte aumento ad ogni ritorno a casa.

L’offerta di aiuto ed assistenza ed i medici che gli garantiscono un perfetto stato di salute fisica lo innervosiscono sempre di più.

Poi arriva il giorno in cui ti grida con rabbia di essere OMOSESSUALE.

La sensazione immediata è quella di un crollo di tutte le tue aspettative e come si suol dire “ti crolla il mondo addosso”.

Poi raccogli tutte le tue forze e ricominci a ragionare e a pensare.

Cominci a rivolgerti alle persone che possono darti dei consigli ma ti aumentano le preoccupazioni perchè le risposte ti sembrano banali e non corrispondenti  alla tua situazione in considerazione  dell’arco di vita che hai percorso con tuo figlio.

Ti dicono:

  • Uno nasce omosessuale
  • L’omosessualità è genetica
  • Ma guarda la TV: tutti dicono che l’omosessualità è una cosa normale che va assecondata
  • Ci sono tanti omosessuali realizzati
  • Ognuno deve fare la propria esperienza e imparare sbattendo la testa contro il muro
  • Guarda anche nella  compagnia di mio figlio c’è un omosessuale e nessuno fa problemi

E via dicendo su questo tono.

Però poi t’informi e realizzi che anche quell’amico, che sembrerebbe vivere liberamente, ha gli stessi problemi di tuo figlio:

 

Depressione ed incapacità di portare a termine qualsiasi tipo di progetto ridotto ad un “burattino” senza desideri.

E allora ricominci una ricerca un poco più approfondita al di fuori delle cerchia dei tuoi amici.

Internet, associazioni, psicologi.

Le risposte sembrano quasi unisone:

L’omosessualità è una condizione normale e se la contrasti sei un “omofobo”.

A questo punto ti convinci e cerchi di seguire questi suggerimenti ma poi ti accorgi che la situazione con tuo figlio non migliora anzi peggiora.

Ancora ti rimbocchi le maniche e ricominci daccapo e finalmente trovi una voce diversa:

  • Le sofferenze delle persone con tendenze omosessuali sono causate dallo stesso stato omosessuale e dalle cause che hanno portato a questa tendenza.
  • Non esiste nessuna componente genetica ma piuttosto componenti ambientali.
  • Occorre prendersi cura delle persone con tendenze omosessuali uscendo dal luogo comune che la tendenza omosessuale sia innata.
  • Esiste una “terapia riparativa” che ti permette, attraverso psicoterapeuti, di analizzare le cause delle sofferenze omosessuali.

Ricominci a parlare con tuo figlio sotto un nuovo riflettore che irradia una luce più chiara e splendente e che porta ad effetti positivi:

  • ripresa degli studi
  • miglioramento dei problemi psicosomatici
  • ritorno al dialogo

E ti sembra di tornare a vivere anche se le difficoltà sono sempre nascoste dietro il classico angolo.

 

DI FRONTE A SIMILI SITUAZIONI   noi genitori non dobbiamo essere superficiali e classificare certi atteggiamenti  dei nostri figli come normali e propri della generazione che stanno vivendo ma dobbiamo preoccuparci nel momento in cui  ci accorgiamo che nostro figlio, invece di vivere la propria giovinezza creando quegli stimoli necessari per una sana e corretta  crescita,   la trasforma  in un gioco senza accorgersi di sprecare la vita e rovinarla gravemente.

Dobbiamo preoccuparci quando realizziamo che nostro figlio è sotto l'influsso di un distorto concetto individualista di libertà e in un contesto privo di valori fondati sulla vita, sull'amore umano e sulla famiglia, che finirà per incidere gravemente  sul suo futuro, quando la fase della giovinezza sarà passata e subentrerà una  prospettiva ed una visione  del mondo  molto diversa.   

Noi genitori dobbiamo preoccuparci di quella cultura in cui la società e i mass-media offrono al riguardo il più delle volte una informazione spersonalizzata e ludica, di quella mancanza di valori per cui tutto viene messo sullo stesso piano , di quel  comportamento che porta a sperimentare tutto quello che passa per la mente senza pensarci e valutando le conseguenze mentre accadono e non prima, prevedendole.

Quando  noi  genitori pensiamo di aver la possibilità di impedire o di modificare in qualche modo  i  comportamenti di nostro figlio che riteniamo essere a rischio, non solo dobbiamo sentirci in dovere di  farlo, ma dobbiamo essere convinti che   in caso contrario mancheremmo  ad  un nostro preciso dovere.       

Quando noi genitori ci troviamo di fronte ad un  comportamento di nostro figlio  che non approviamo abbiamo il dovere di manifestare la nostra disapprovazione, aggiungendo sempre  :”Ricordati che qualsiasi cosa tu faccia, ti vogliamo bene e sappiamo aspettarti”

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